lunedì 4 agosto 2008

I Baci che non ti ho mai dato.

Sapevo che il tuo sguardo un po' sfuggente, attento ai movimenti imprevisti del pallone e alle traiettorie sghembe dei lanci sotto porta, avrebbe potuto non incrociare mai il mio. Intabarrata nel paltò marrone, recupero di una mantella di una mia sorella più grande, come molte domeniche facevo la coda alla biglietteria del Filadelfia assieme a mio padre, con la sciarpa granata d'ordinanza e un cartoccio di caldarroste in una mano. Fu lì che ti notai per la prima volta. Era il 31 ottobre. Tu eri piccolo, magrolino ma definito, ti muovevi attento e nervoso tra i pali. E poi, ogni tanto, quello scatto di reni. Qualcuno lo avrebbe qualificato ridicolo, io lo trovai subito maschio e sensuale. Brividi sulla pelle, i primi mai provati per un uomo. Che emozione. Cercai di incontrarti. Chiesi ad amici e amiche quali posti frequentassi, tu, ligure amante del sole e del mare, nella nostra grigia ma ospitale Torino. Sapevo che amavi divertirti, che eri un burlone, e che avevi abitato in una pensione di via Nizza, con altri compagni di squadra. Ho cercato in tutti i modi di sapere qualcosa di più su di te. Ho scoperto che eri di Vado Ligure, che avevi otto fratelli e tre sorelle, e che i tuoi genitori avevano uno stabilimento balneare. Una famiglia di sportivi. Ma tu, tu avevi qualcosa, qualcosa di indefinito che si elevava sopra la medietà dei tanti ragazzi amanti del pallone. Gli occhi, soprattutto. Uno sguardo magnetico, penetrante. Di chi ha scalato la montagna a mani nude, e ha imparato a trovare dentro di sé la forza per crescere e maturare. Un uomo tutto d'un pezzo. Un sogno. Il mio sogno, destinato però a non avverarsi mai. Perché per me le notti torinesi erano off limits, "almeno fino a quando non compirai ventun'anni", diceva mia madre. Massì, figuriamoci, quanto dovrò aspettare ancora? Tu sei già grande, hai già venticinque anni. E nel frattempo potresti conoscere qualche altra ragazza, innamorarti, oppure cambiare squadra, tornare in Liguria..che ne so. Disperata come solo un'adolescente delusa e impotente può essere, trovai il sollievo al mio tormento. Una tua foto, bellissima, trovata su una copia di Tutto Sport, arraffato in edicola per sbaglio da mio padre assieme alla Gazzetta del Popolo. Un'immagine netta, epica e immaginifica. Ci sei tu che guardi attraverso le maglie della rete della porta, ti ci aggrappi, come a delimitare il tuo territorio, con le mani infilate nei guantoni. E lanci fulmini dagli occhi, come Plutone dal suo antro. Che immagine! Divenne il mio santino, la mia arca della felicità. Tutte le notti, prima di dormire, di nascosto depositavo un bacio - timido - sulle tue labbra disegnate nella carta chimica del giornale. Un tocco fuggente, delicato, per non bagnare la carta e distruggere così il mio evanescente sogno di cellulosa. Così tutte le notti, e così anche durante il giorno, quando sentivo balzarmi nelle viscere la voglia di essere abbracciata e di sentire il tuo fiato caldo vicino a me. Dio quanto eri bello. La tua effigie illuminava le mie giornate. Continuai così per un bel po' di mesi, fino a quando decisi di tentare il tutto per tutto. Un blitz, domenica 8 maggio, per Torino - Fiorentina. Convinsi mio padre a portarmi alla partita: fece un po' di resistenza, ma alla fine acconsentì. La mia decisione: balzare su di te alla fine dell'incontro. Una placcata in piena regola, un'epifania necessaria ad un amore virtuale e unilaterale. Un agguato che aveva un solo scopo: dichiararti il mio amore e finalmente baciare le tue labbra, quelle vere, salate di sudore e impataccate di saliva asciutta. Senza contare che la foto stava cominciando a macerarsi sotto il mio continuo e indefesso lavoro: era il momento di dare una svolta alla situazione. Questa decisione mi tranquillizzò per un po', tanto che nei giorni successivi decisi di baciarti solo la sera, per rompere la routine in attesa del Grande Evento. Mercoledì pomeriggio stavo riordinando le mie cose in camera e raccontando alla tua foto i dettagli del piano di avvicinamento. Era una pessima giornata. Pioggia, nebbia, buio. Dettagli per me insignificanti, dato che nella mia mente brillava il verde del campo del Filadelfia: domenica sarebbe stata una giornata indimenticabile.

"Mercoledì 4 maggio 1949, ore 17,05. Un boato proveniente dalla Basilica di Superga ha scosso il mondo sportivo. Il trimotore FIAT N. 212 delle Aviolinee Italiane ci ha rubato un sogno, un meraviglioso gruppo di ragazzi che ha reso il calcio italiano emozionante, vivo, spettacolare. L'aereo che riportava a casa da un'amichevole a Lisbona il Grande Torino, la squadra invincibile, i dieci undicesimi della nostra Nazionale, si è schiantato contro il terrapieno della Basilica di Superga. Nessun superstite tra le lamiere...."


Dedicato a Valerio Bacigalupo, portiere del Grande Torino
Vado Ligure, 12 marzo 1924- Superga, 4 maggio 1949

Pubblicato su www.alessandrorosina.it - Rubrica sTORie

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